Di stasi.fortezza:l gargiulo solubile e loto del 17- giugno- 2012.qxd.qxd

donato di stasi
beccheggiante viaggio antisentimentale
la città e le stelle
La città e le stelle - Storie minime 2012Via Manfredi Azzarita, 207-00189 RomaTel e fax 06 332 61 614Internet: www.cittaelestelle.itE.mail: [email protected] donato di stasi
beccheggiante viaggio antisen-
timentale
ovvero composita solvantur
la città e le stelle
Beccheggiante viaggio antisentimentale,
ovvero composita solvantur
riguardo a La Fortezza Marina di Massimo Giannotta Enciclopedico, digressivo, deposito a valigia di citazioni epiche (le storie di Sindibad e di Brennan-Brandano), agglomerato di remote cognizioni bibliche (ilLibro dei Proverbi), oltre che carico di valsente letterario (ilTristram Shandy di Sterne, il Moby Dick di Melville, il Gargantua di Rabelais, i burrascosi Carmina Burana medie-vali), La Fortezza Marina di Giannotta-Yorick provoca unsalutare disorientamento e si iscrive al novero ristretto diquei libri che sfuggono alla legge ferrea del consumoimmediato. Ammantellandomi di buon pungente albale(l’ora in cui gli spettri se ne tornano a scorrazzare nei fere-tri), compulso codeste pagine sonore e trovo che il mon-taggio dei generi utilizzati non solo ha resistito un dodi-cennio, anzi si è rinvigorito, acquisendo diritto di accessoal sinedrio dei poeti (confesso che alla prima lettura il werknon mi aveva procurato così diffusi e percettibili piaceriintellettivi puri). Il Nostro rincorre da anni (Portolano di mari iperborei, Laconta di Lancelot) una nuova amalgama, una diversa fusione dei linguaggi, codici e gerghi, per intercettare il tempoliquido nel quale le evenienze e le fattualità sono immer-se: si lascia convincere dalla generosità delle metaforemarine, per questo punta lo sguardo sui destini della pruae sui ricordi accalcati a poppa, tra orzate e poggiate. E senessun libro può dispensarsi dal contenere zavorra epagliolo, qui tutto appare necessario, anche il ritaglio gior-nalistico che annuncia il naufragio di un peschereccio-car-neade siciliano. Maestro delle acque profonde, Giannotta svelle la poesiae le sue periferie testuali dal catafalco illacrimato in cui l’hacalata l’industria culturale, dimostrandosi capace di resti-tuire intatta la complessità dell’umana avventura: LaFortezza Marina non consola e non mendica consolazioni,si limita (quasi fosse un organismo a sé stante) a registra-re con acribìa le impazienze dei viaggi, le insidie delle lati-tudini, le tempeste tanatovestite. Sul mare-poesia non sipossono “porre pietre angolari”, nondimeno le traversa-te verso l’ignoto rappresentano una struggente brama disenso (“Questo spiega come il desiderio del viaggio siaquasi sempre connesso con il bisogno di addentrarsi piùprofondamente nel nostro inquieto personale mare inte-riore”).
Una città obliqua, scintillante e opaca, bascula su malsane paludi perdentisi a vista d’occhio: si tratta di unostrato litico flessuoso addossato a una plaga equorea, toposdi un’impensabile unità (sorda, morta, persa a se stessa).
Una città dedalica, segmentata da asfalti neri bordati da unbianco lattescente, beccheggia sui capricci e sul dolore dis- pensati proditoriamente dalla sorte: aleggia sulle guglieverbali giannottiane il respiro mefitico del conformismo,l’ambiguità del presente, lo sfaldarsi delle grandi illusionidemocratiche, la mancata coincidenza di progresso mate-riale e benessere spirituale (come non vedere gli individuicostantemente deformati dal frantoio sociale, obbligati aessere assurdi, idioti, contratti, mentitori, marci, gonfi dientropia). Che dire ancora dei palazzi conficcati comeaculei di vetrocemento dentro gli ordinati acquitrini dellarealtà? L’incommendevole orizzontalità viene incrociatacon la fonda abissalità delle rovine, delle colonie impiega-tizie brulicanti, a cui è stata sottratta la particolarità dellacoscienza: un’umanità febbrile e scarafaggesca defluiscedalle orbite vuote dei portoni, si riversa lungo le sagomedi un immenso teatro di posa per ipotetiche fughe dentroesistenze tutte uguali (“padre/di neri/indecifrabilimostri/che agonizzando/roteano piano/coi denti ancorapiantati/nel fianco/di morti guerrieri/infiniti caos fluttua-no/s’attorcono/infiniti caos sospinti/verso/un inattingi-bile fondo.//Allegoria della putrefazione”). Brandelli di televisori, barattoli immortali, camere arrugginite, bambole senza occhi galleggiano come mir-micoleoni maligni dentro superfici sudicie, nauseabonde,intanto la metafisica è messa a decantare e le sue immen-se turbine fermate. Qui Giannotta-Yorick (nella secondasezione nomata Labirinto marino) separa il nulla dalla nulli-ficazione, ne scuoia le membrane gigantesche, infila il suosguardo negli scoli oleosi, aprendosi la via tra “merda esangue”, così le piacevolezze della formalina e delle decom- posizioni tossiche possono essere sommate alla nostracattiva coscienza, tacitata a suon di Prozac e altre amenitàbenzodiazepinizzanti (le metafore marce fanno riaffiorarel’Ofelia shakespeariana che continua a vivere nella mortee incanutisce annegando ad libitum):” E si mischiano/putri-de/velenose/in un oceano incognito/brodo di coltura/dispettri/di cadaveri decapitati/di stanchi incubi/occhi chevedono/fino a che/nulla più c’è da vedere”.
Radendo alla spicciolata i lati più tremebondi della realtà, configurati a losanghe bianche e nere, si passa allesezioni successive (Racconti di Sindibad, Porto di armamento ecaricazione, Viaggio di un certo Ismaele, Navigazione di Brennan,La Fortezza Marina), dove il groove non cambia, perché lascrittura non porta quiete, arroventa le pagine, le capovol-ge per far cadere sul lettore memorie di inchiostri e vitedoppie strappate alla loro inutilità. Di questo e di altro èinvocato a testimoniare Sindibad il marinaio, eponimo conOdisseo di tutti i viaggiatori, naufrago per ventura su un’i-sola-pesce, risucchiato dai vortici marini, salvo a cavalcio-ni su uno stricaturu per lavare i panni (“Ed in questomastello, come più tardi Cartesio nella stufa, faceva alcu-ne riflessioni filosofiche sulla sua vita di mercante”). Ildoppio di Sindibad si fa successivamente nominare dal reMihragian prefetto del porto, così imprende a registrarenavi di epoche che non gli appartengono (dalla letteraturaantica si pindarizza fino all’umettato mito del Titanic). Affinché La Fortezza Marina possa davvero costituire ilgiro del giorno in ottanta mondi, Sindibad salta in corsa sul Pequod di Achab per trasfigurarsi in Ismaele, voce nar-rante alla quête di Moby Dick. Giannotta sfila, smozzica,stiva frasi in forma sliricizzata, portolanica, giornalistica,saggistica, epico-critica al fine di rinvenire “un metro ade-guato”, una libera prassi trasformatrice della parola. Difronte alla dissoluzione dialettica della Storia, la scritturacerca il taglio: non ha più interesse a descrivere, narrare,sversare accadimenti melliflui, reclama di converso la par-tecipazione del lettore affinché questi si stimi in grado dicolmare la distanza fra i segni-simulacri e le cose nientifi-cate, ma soprattutto non si ritragga dal contestare la quo-tidianità desertificante (“A costruire/di pensieri vaste cat-tedrali/con vetrate/color del tramonto/come edifican-do/penitenziali colonne/in mezzo a riarsi deserti”).
Giannotta non dispera e cerca alleati nel passato, commisurando i suoi rastremati pensieri al cartografofiammingo Abraham Ortelius (1528-1598), tracciatore dicontinenti e di rotte, le stesse percorse da Brennan-Brandano per approdare alle isole paradisiache (locus amoe-nus, terra repromissionis), quanto mai agognate di fronte alputrido scenario della (post)modernità. Ma che le isolebeate siano ormai inaccessibili all’umana schiatta lo rac-contano i vari naufragi dentro AVVISI, NOTIZIE eANNUNCI (l’eccelso summenzionato Titanic e il miserosconosciutissimo peschereccio siciliano Rosaria madre). Lafredda oggettività dei reperti giornalistici enuclea torbidestorie di destini senza vie d’uscita, riverbera a lumicinoquel che resta di individui dissipati, sparpagliati, laceratinelle viscere (“Molecole sospese fuori del tempo noi siamo, lungo una rotta tracciata sopra un nero abisso”).
Per irrefutabile assioma Giannotta-Yorick riesce da rapsodo qual è a ricucire un vestito elegante con strac-ci e cenci: assembla nella forma libera di una suite un gro-viglio di segni, un’addugliata matassa apparentementesenza senso; compone una partitura orchestrale dispostasul pentagramma verticalmente, in modo che il lessico, diper sé materico e inespressivo, prenda vita come un golem,prefigurando un’epica del futuro, partendo dai bastionisbreccati, dalle mura algose, dagli edifici a spirale, dai cupiarsenali di una fortezza marina, modellata sulla Jomsvikingasaga e proiettata nel nostro tragico divenire storico.
Intricandosi nel suo gergo marinaresco (boma, tuga, fiocco, riaddugliare) Giannotta manda spruzzi dalsuo pozzetto, ravvisandoci fra soffermati approdi e ripre-se di cabotaggio che il mondo esiste solo nella nomina-zione. Ed eccolo pilota su arcuate creste spumeggianti,riservandosi per ultimo il transito verso un luogo ideale,un tempo locus divinus (come ogni volta nelle humanae histo-riae), ora non altro che tenebra brulicante a stuoli di sfac-cendati in materia militare e civile. Sull’immobilità catato-nica odierna, il Nostro Auctor getta le sue popolose pagi-ne, da cui molto vi è da imparare quanto alle rotte dell’e-sistenza, ancor di più vi è da godere nel claustro riparato,sotto coperta, della lettura.

Source: http://www.cittaelestelle.it/files/Di%20Stasi.Fortezzamarina1_0.pdf

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